La Corsa all'Anello

La Corsa all'Anello raccontata dagli Statuti del 1371

La rievocazione medievale della Corsa all'Anello di Narni ha fra i suoi punti di forza l'accurata fedeltà storica all'evento originario. Descritto punto per punto negli Statuti comunali del 1371. Una lettura interessante per cogliere ancora meglio lo spirito della festa dedicata a san Giovenale e conoscere la quotidianità dei narnesi dell'epoca.


Vietato correre con i cavalli da soma


'E colui che correndo abbia messo la sua asta nell'anello, allo stesso in segno di vittoria e di onore l'Anello debba essere dato ed assegnato, secondo il giudizio del giudice di gara, mentre che i cavalli da veicolo o da soma non possano correre ne vincere lo stesso anello'. Questo uno dei precetti principali da seguire per i cavalieri che partecipavano alla Corsa, che si teneva nella piazza Maggiore il 3 maggio, giorno dedicato al santo patrono. Chiunque fosse in possesso di un cavallo poteva prendervi parte secondo un ordine rigoroso.

La conquista dell'Anello


I partecipanti, come si legge anche nel bel libro dedicato agli statuti comunali da Franca Giffoni e Antonio Mosca ('Il Trecento a Narni', pubblicato nel 1988), dovevano presentarsi in piazza e "disporsi all'angolo della chiesa di San Salvato, rivolti verso la fontana e uno dopo l'altro in corsa dovevano lanciare l'asta o il bordone cercando di centrare l'anello", posto in alto fra due palazzi. Era d'argento, e valeva 100 soldi. Il primo a correre era un cavaliere del terziere Mezule, il secondo uno di Fraporta e il terzo uno di Santa Maria.

La corsa del Palio

Per onorare san Giovenale era prevista anche un'altra gara: la corsa del Palio, i cui i cavalieri si sfidavano a raggiungere per primi il cosiddetto petronum, una grande pietra su cui era issato il palio, un drappo raffigurante il santo patrono insieme al drago simbolo della città. La corsa, al via delle autorità, partiva dal torrente Aia, dalla chiesa di Sant'andrea in Lagia e arrivava fino a Narni. A pagare il palio, così come l'anello d'argento, era la comunità ebraica, costretta a sborsare "ogni anno alle calende del mese di maggio al camerario del comune 4 fiorini d'oro che si convertano nel prezzo di un palio e di un anello d'argento sopra dorato".

Ceri in segno di devozione Per la festa di san Giovenale, come raccontano ancora Franca Giffoni e Antonio Mosca, "tutte le villae e i castra dovevano presentare un cero come atto di sottomissione e di riconoscimento del dominio del Comune di Narni: Collescipoli uno da otto libbre, Perticara, Itieli, Alviano, Taizzano da quattro, Rocca di Carlo, Finocchieto e Aguzzo da tre, e così via gli altri paesi". Anche le corporazioni delle Arti erano obbligate a donare un cero, in caso di rifiuto dovevano versare 50 libbre di multa.


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